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Quando il silenzio pesa più delle parole

  • Immagine del redattore: Luisa Pesarin
    Luisa Pesarin
  • 22 set
  • Tempo di lettura: 1 min


Spesso, ciò che non viene detto fa più male di ciò che viene urlato.
Spesso, ciò che non viene detto fa più male di ciò che viene urlato.

In molte storie di abuso psicologico, il silenzio non è assenza: è presenza ingombrante. Non è quiete, ma controllo. Spesso, ciò che non viene detto fa più male di ciò che viene urlato. Il silenzio che segue una colpa non confessata, un gesto non spiegato, una ferita ignorata... è un silenzio che pesa.


Chi subisce manipolazione emotiva impara presto a leggere tra le righe, a cogliere segnali invisibili, a tradurre il vuoto in messaggi. Ma questo sforzo continuo logora. Il silenzio dell’altro – quel partner, quel genitore, quel superiore – diventa un terreno minato dove ogni passo può far esplodere una nuova insicurezza.


Quando non si può nominare il dolore, non si può guarire. Per questo raccontare è così importante: rompe l'incantesimo del silenzio. Ogni parola detta, ogni frase scritta, è un atto di disintossicazione, di ritorno a sé. E anche ascoltare è un modo per far rumore, per dire: “Io ci sono. Ti sento.”

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