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Pensavo fosse amore. Invece era controllo.

  • Immagine del redattore: Luisa Pesarin
    Luisa Pesarin
  • 10 ott
  • Tempo di lettura: 3 min
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Una testimonianza vera di sopravvivenza a una relazione tossica. Il coraggio di ricominciare.


Mi chiamo Laura. Ho 34 anni, una vita che oggi sento finalmente mia, ma per anni ho vissuto dentro una gabbia che sembrava amore.

Quando l’ho conosciuto, ero fragile. Reduce da una storia finita male, insicura, con il desiderio profondo di essere scelta, amata, vista. Lui era affascinante, protettivo, presente. Diceva cose come "Io ti proteggerò da tutto", "Con me starai al sicuro". All’inizio mi sentivo speciale. Unica. Come se fossi finalmente “a casa”.

Ma poi, lentamente, quella casa ha iniziato a somigliare a una prigione.


I segnali che non volevo vedere


All’inizio erano solo “piccole cose”:

  • Mi chiedeva con chi uscivo.

  • Commentava i miei vestiti: “Ti copriresti un po’? Sei mia, non del mondo.”

  • Si infastidiva se non rispondevo subito ai messaggi.

  • Diceva che i miei amici “non mi capivano”, che la mia famiglia “non era poi così presente”.

Ero convinta che fosse solo gelosia, che dietro ci fosse amore. Mi sentivo in colpa ogni volta che si arrabbiava. Così, uno a uno, ho iniziato a tagliare i miei legami, a cambiare per adattarmi a ciò che lui definiva “rispetto”. Ma non era rispetto. Era controllo.


Quando ho toccato il fondo


Ricordo una sera in particolare. Ero uscita dal lavoro tardi, il telefono si era scaricato. Tornata a casa, lui era furioso. Non urlava, non mi toccava — ma mi guardava come se avessi tradito un patto sacro. “Se mi amassi davvero, non mi faresti stare così.”

Quella frase mi ha frantumata.

Avevo smesso di essere Laura. Ero diventata il riflesso delle sue insicurezze, il bersaglio delle sue frustrazioni, la sua ombra.

Eppure, a chi mi chiedeva come stavo, rispondevo: “Bene. Siamo solo un po’ stressati”. Mentivo a loro. Ma soprattutto mentivo a me stessa.


La rinascita comincia nel silenzio


Non c’è stato un evento eclatante che mi ha salvata. Nessuna sirena, nessuna fuga rocambolesca. È stato un lento risveglio. Una sera, mi sono guardata allo specchio e non mi sono riconosciuta. Quella donna spenta, con gli occhi bassi e la voce spezzata, non ero io.

Ho iniziato in silenzio:

  • A scrivere un diario.

  • A mandare messaggi alle mie vecchie amiche.

  • A tornare in terapia.

Ogni passo era difficile, ma ogni passo mi restituiva un pezzo di me.

Quando finalmente gli ho detto che volevo andarmene, ha riso. “Non hai nessuno. Non ce la farai.”È stata la frase che mi ha dato forza. Perché ho capito che la sua più grande arma era farmi credere che senza di lui non ero niente.


Oggi, da questa parte del dolore


Sono passati due anni da quel giorno. Non è stato facile. Ho avuto crisi, ricadute, momenti in cui pensavo di tornare indietro solo per non sentirmi sola.


Ma oggi, ogni sorriso che faccio è mio. Ogni decisione che prendo, ogni amico che scelgo di avere vicino, ogni vestito che indosso… è libertà.


Scrivo questa testimonianza per chi, come me, è o è stata in una relazione tossica. Se stai leggendo e qualcosa dentro di te si muove, ascoltala. Non serve arrivare alla violenza fisica per dire “è abuso”. L’abuso psicologico è reale. Il controllo, il gaslighting, l’umiliazione: sono ferite invisibili, ma profonde.


Non è amore se ti spegne. Non è amore se ti fa paura. Non è amore se ti isola.


Oggi so che l’amore vero non controlla. Sostiene. L’amore vero ti aiuta a brillare, non ti spegne.

Se sei lì, nel dubbio, nel buio… sappi che c’è un dopo. C’è una vita possibile. C’è una rinascita.

E tu la meriti.


💬 Hai vissuto qualcosa di simile o conosci qualcuno che potrebbe trovarsi in questa situazione? Parlane. Il silenzio è la prima alleata della violenza. Ma ogni voce che si alza, può salvare una vita. Anche la tua.


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